Il saggio finale 2016 della scuola di teatro di "Teatro Blu" a Bolzano

Per parlare dell'ultimo spettacolo messo in scena in questi giorni a Bolzano da Nicola Benussi, sento necessario partire un po' da lontano e introdurre il tema con la citazione "La vita è un teatro, dove ognuno recita una parte, spesso male", tratta da una delle ultime interviste di Giorgio Albertazzi, allora impegnato nella ripresa di "The Tempest" (la tempesta) di Shakespeare. Un testo formidabile, che corrisponde a una vera rivoluzione copernicana, per cui il teatro diventa vettore di una concezione del mondo (Weltanschauung), che si trova poi-poco tempo dopo-in "La vida es sueno" di Pedro Calderon de la Barca, non molto dopo in Goldoni, vario tempo dopo in Pirandello-quanto dirà poi la filosofia idealistica e, con notevoli diversità, quella di Schopenhauer, per cui la realtà è "un velo di Maja", è quasi "anticipato" dalla riflessione e dalla prassi teatrale. (read more_clica sul titolo)

Ciò si ritrova anche nel "teatro dell'assurdo", in specie - con tutte le enormi differenze tra questi autori - in Eugène Ionesco (originariamente Eugene Jonescu, nella dizione romena), Samuel Beckett, Arthur Adamov, Fernando Arrabal. Ionesco (1909-1994), di madre francese, presto stabilmente residente a Parigi, ha scritto, tra le altre opere, l'atto unico-sketch "La jeune fille à marier" (La ragazza da marito) del 1953, riproposto al "Teatro Cristallo" di Bolzano (eccoci dunque arrivati al tema stretto di questo articolo) come saggio finale del corso di teatro del dott. Nick Benussi (Teatro Blu, da anni attivo sulla scena regionale ma non solo).

Il testo, che peraltro non propone per nulla l'abdicazione agli impegni quotidiani, alla "vita attiva", mostra l'assurdità della vita quotidiana, routinaria, ripetitiva, il dramma del "macchinismo" (le macchine che schiacciano l'uomo, non adatto a comprenderne e valutarne la funzione, per dirla in termini semplici), l'alienazione da ritmi di lavoro e di vita sempre più frenetici, non propone ancora gli interrogativi religiosi-esistenziali dell'ultima fase dell'autore, rivelandosi un testo straordinario nella sua "nuda efficacia" di denuncia della "catena di montaggio" delle sciocchezze "da bar" elevate a sapienza-saggezza universale.

Gli interpreti (in maggioranza donne, come sempre più brave e coraggiose nell'affrontare il palcoscenico), sotto l'attenta direzione di Benussi, sanno adeguare la gestualità e la mimica alla dizione e alla narrazione verbale, riscoprendo il rapporto fondamentale corpo-gesto-voce e vocalità.

Preciso che questa non è in alcun modo una "recensione", che imporrebbe di entrare nei singoli aspetti, di valutare singole interpretazioni in rapporto alla "coralità" interpretativa etc. Mi limiterò, dunque, a ricordare come gli/le interpreti riescano a mettere in risalto quegli elementi di "differenza e ripetizione" (Gilles Deleuze) così presenti in questa prima (pur se non primissima) fase della produzione del grande autore teatrale romeno-francese.

Eugen Galasso

Last modified onDomenica, 05 Giugno 2016 14:29