"Esami di Maturità: studenti in fuga dall’orale; prove Invalsi deludenti. Due facce dello stesso problema?"

Scuola in crisi: se gli studenti evitano l’orale, forse stanno segnalando un disagio che il sistema deve ascoltare

Di fronte a prove INVALSI sempre più deludenti e a una maturità segnata da proteste e rifiuti dell’orale, la reazione più immediata è quella di puntare il dito contro gli studenti: troppo fragili, distratti, impreparati. Ma è davvero così? E se invece fossimo di fronte a un segnale più profondo, a un disagio che riguarda non solo i ragazzi, ma l’intero sistema scolastico?

Le prove INVALSI 2025 parlano chiaro: difficoltà diffuse nelle competenze di base, specie in italiano e matematica. In parallelo, aumentano i casi di studenti che scelgono di non presentarsi all’orale dell’esame di Stato. Un gesto che, più che apatia o disinteresse, potrebbe essere letto come una forma di disconnessione da un modello di scuola che molti non sentono più come proprio.
Sarebbe troppo semplicistico ridurre tutto a una mancanza di impegno. Forse quegli studenti stanno, consapevolmente o meno, esprimendo una critica a un sistema scolastico percepito come distante, rigido, poco capace di rispondere ai bisogni reali delle nuove generazioni.
La scuola italiana, pur con molte eccezioni virtuose, fatica ancora a rinnovare le sue metodologie. In troppe aule, non la maggioranza per fortuna, continuano a prevalere comunque approcci ancora troppo tradizionali, centrati sulla lezione frontale e sulla verifica orale, che in alcuni contesti possono risultare percepiti dagli studenti come distanti o poco coinvolgenti. È un modello nato in un'altra epoca, quando il mondo era profondamente diverso, lentissimo ad innovarsi nonostante il costante impegno di tantissimi insegnanti e dirigenti scolastici.
Oggi, i giovani crescono in un contesto segnato da tecnologia pervasiva, crisi globali, incertezze sociali. Hanno accesso a fonti di conoscenza sterminate, ma cercano un senso, una guida, un contesto relazionale significativo. La scuola, per essere rilevante, dovrebbe intercettare ancora di più questi bisogni, offrendo spazi di ascolto, di espressione, di dialogo autentico.
L’empatia è oggi riconosciuta come una competenza educativa di primaria importanza, in grado di rafforzare la relazione formativa. Molti insegnanti — spesso oberati da carichi burocratici, classi complesse e poca formazione specifica — si trovano a dover “resistere” più che innovare. Ma senza una relazione educativa forte, l’apprendimento rischia di diventare solo un accumulo di nozioni, svincolato da ogni motivazione profonda.
La scelta di non affrontare l’orale da parte di alcuni studenti può essere interpretata anche come l’espressione di un disagio, che merita ascolto e comprensione da parte della comunità educante. Tuttavia, è importante ricordare che le regole e gli obblighi scolastici vanno rispettati, anche quando se ne contestano i limiti. Il rifiuto dell’orale, pur comprensibile in termini di disagio, rischia di svuotare di forza la protesta stessa, facendo apparire come disimpegno ciò che poteva essere una battaglia culturale più incisiva, se condotta con strumenti e modalità diverse.
Non si tratta di attribuire colpe, ma di riflettere collettivamente su cosa significhi oggi ‘educare’ in un contesto in rapida evoluzione.
Ma la buona notizia è che cambiare si può. E in molte scuole già si sperimentano pratiche didattiche inclusive, laboratoriali, basate sulla collaborazione e sulla valorizzazione delle intelligenze multiple. Insegnanti che si formano, che ascoltano, che si mettono in gioco. Segnali positivi, da sostenere e amplificare. Una scuola che ascolta è una
scuola che funziona
Questa riflessione, lungi dall’essere una critica a singoli attori, vuole proporsi come uno stimolo costruttivo per interrogarsi su come la scuola possa evolvere, rispondendo ai bisogni dei giovani senza rinunciare alla propria funzione educativa. I ragazzi ci stanno parlando, anche quando tacciono o si tirano indietro. Sta a noi adulti trovare il modo di ascoltarli davvero, senza rinunciare all'autorevolezza, ma ripensandola in chiave relazionale e costruttiva.
Solo così la scuola potrà tornare ad essere non un esame da superare, ma un luogo dove crescere insieme.

Franco Boscolo

Last modified onMartedì, 29 Luglio 2025 13:57